domenica 11 febbraio 2007

Tevere pioggia e notte

un'immagine tratta dal film Lady in the water

Correre sul lungotevere di notte è come sprofondare in un mondo parallelo. Da casa mia il passaggio dalla strada trafficata al ciottolato che costeggia il fiume è senza soluzione di continuità. Non vi sono né scalini né deviazioni, la strada semplicemente scende, scende fino a dove è possibile: a pochi centimetri dall’acqua.
I rumori della città si fanno più ovattati e, a differenza del giorno, l’intensità luminosa è meno di un quarto rispetto al mondo sovrastante. Le pupille si dilatano e viene naturale rallentare per qualche centinaio di metri. Gli occhi poi si abituano alla penombra e si ritorna alla velocità iniziale.
Mi è capitato qualche giorno fa di correre lì di notte. Il cielo nonostante fosse nuvoloso emanava una luce propria e faceva da contrasto alle calde luci dei lampioni sparse ogni tanto sul percorso. Mi viene da pensare, mentre corro, come nel mio lavoro sia laborioso ricreare un’atmosfera simile: fare avvertire le tonalità fredde di un cielo notturno assieme alle calde della luce artificiale. Ripenso a film visti ultimamente giocati con queste tonalità e mi viene in mente la fotografia di Christopher Doyle in Lady in the water e la Trieste di Fabio Zamarion in La sconosciuta.
Ecco che inizia a piovere. Piove seriamente, anche dei fulmini cadono molto vicini alla città. In pochissimo tempo sono fradicio ma continuo a correre imperterrito (non avevo comunque altra scelta poiché stavo già ripercorrendo la via del ritorno).
A volte sbaglio l’appoggio del piede e mi trovo dentro una pozzanghera. Avere i piedi bagnati Ë una brutta sensazione, l’unico antidoto è appunto correre, correre senza fermarsi. Continuo a notare le calde incandescenze che rispecchiano nel Tevere e in tutto questo marasma mi sento un po’ mitico. Ripenso ad imprese storiche e mi immedesimo: Coppi che valica solitario un passo dolomitico, Bordin che vince l’Olimpiade, l’Italia campione del mondo nel 1982, Marco Pantani, Stefano Baldini, Mike Tyson, Maradona…
Dopo tutto questo pensare mi sento anche un po’ coglione perché sto andando a non meno di 4 minuti al chilometro in una normalissima seduta di corsa lenta di un qualsiasi amatore.
Il bello della corsa è che, se stai bene fisicamente, ti dà tempo per pensare a tutt’altro e anche a fantasticare su ogni cosa.
Arrivo poi a casa, mi levo le scarpe sennò è un massacro per la moquette e metto subito in lavatrice tutto quello che avevo addosso. Mi accorgo che tutti gli indumenti che ho usato hanno impregnato l’odore del Tevere.
Entro dentro la doccia e sono troppo felice dell’acqua calda che mi scorre addosso...

3 commenti:

Anonimo ha detto...

È una delle cose più belle che abbia mai letto. Ha la forza e la levità di un classico e, forse, già lo è.
Complimenti.
Un abbraccio

Anonimo ha detto...

UN CAPOLAVORO!!!

Mi ha ricordato le descrizioni delle battute di caccia di Hemingway. Quando la passione è profonda se ne parla mescolandola alla natura, alle luci, alle nuvole, alla pioggia e guardi tutto ciò che ti circonda come fosse la prima volta, e tutto appare stupefacente, irripetibile. Questo accade proprio mentre corri, e soprattutto perché corri.
Io non vado a correre ma faccio lunghe passeggiate (63 anni!!). Ebbene anche a me succede di sprofondare in un mondo parallelo. Passeggiare mi permette di "assentarmi" per pensare ad altro. E' una vacanza che dura poco, ma ci accontentiamo.

Anonimo ha detto...

Caro Michele, da ex marinaio sergente Ma/sdi ti consiglio, per vederci meglio nei cambi di luce, di chiudere un occhio dieci secondi prima di attraversare un'area buia, vedrai che aprendo quell'occhio appena sei al buio ci vedrai molto meglio di quello che hai sempre tenuto aperto
un saluto
fammi sapere!!!!!!!!!