sabato 24 febbraio 2007

Cortometraggi

Questa settimana voglio linkare alcuni cortometraggi di amici, tutti pugliesi.

Il primo è Come a Cassano, girato a Bari e diretto da Pippo Mezzapesa. Ha avuto una menzione ai Nastri d'Argento 2006.
Il secondo è Tana libera tutti di Vito Palmieri girato a Roma, in cinquina ai David di Donatello 2006.
ll terzo è Il sogno di Nando di Fabrizio Colucci girato a Taranto

Buona visione!!!

domenica 18 febbraio 2007

Il paradosso del competitore

una foto di mario De Benedictis in gara nel 1990

Il racconto che riporto qui sotto è stato scritto, tempo fa, da Mario De Benedictis e si chiama " Il paradosso del competitore".

A volte mi capita di ricordare brani dei miei quattordici-quindici-sedici-anni che credevo definitivamente consegnati all'oblio di una dolorosissima rimozione. A volte- ma solo poche volte - riesco anche a sorridere di qualche episodio legato all'esperienza sportiva che feci in quegli anni: due ore e mezza senza mai fermarmi, in salita, in discesa e sul piano; sole, vento, pioggia e neve, da gennaio a dicembre. Mi allenava mio padre. Mi impediva di fermarmi quando avevo male ai tendini, quando mi veniva da piangere e c'erano ancora venti chilometri da fare. Mi sfotteva ricordandomi l'ultima sconfitta: ché quello non era l'evento che avvicinava l'eroe agli uomini, ma l'umiliazione al buon nome della famiglia. La sua. Ricordo di come cercavo d'inventarmi un modo per passare il tempo, quel tempo fatto di minuti che duravano ore, quando mi arrampicavo sui colli di Pescara, e di ore che fuggivano via come secondi, una volta a letto, la sera. Un modo era quello di dilatare il più possibile il riscaldamento - durava circa cinque chilometri - prima di tuffarmi in un'angosciante progressione cronometrica, nell'ennesima sfida quotidiana con l'avversario di turno (fratellino compreso, ahimè).Nella stagione agonistica '79/'80 cercai di dividere la mia solitudine marciando con Domenico. Quattordicenne come me, andava un po' più piano di me. Mio padre non avrebbe maiallenato un atleta bravo quanto il sottoscritto. Pur essendo mio coetaneo Domenico sembrava molto più maturo. Per intenderci, io, filiforme e piccino, dimostravo sì e no dodici-tredici anni; lui almeno quattro di più. Alto già quasi un metro e settanta, era di corporatura robusta; gambe come due tronchi e torace impettito a conferirgli un aspetto quasi tracotante. Domenico, con i suoi capelli rossi, grossi come fili di rame e ondulati, portati sempre in ordine. In quel periodo l'allenamento consisteva nel ripetere venti volte un circuito asfaltato di un chilometro. Teatro dello stillicidio podistico era la pineta D'Avalos di Pescara. Io e Domenico eravamo amici. Ventidue ore al giorno. Partivamo,dopo aver allacciato nervosamente le scarpette (guai fermarsi durante la prova!); iniziava così il riscaldamento su quel maledetto circuito. Un riscaldamento per modo di dire. La gara prendeva il via dal secondo chilometro, in barba alla regola dei cinque chilometri. Lo sguardo fisso oltre l'orizzonte, i piedi rapidi a guadagnare quei pochi ma preziosissimi metri che davano a me la certezza di una superiorità atletica - molto spesso soltanto psicologica - e a lui, il placido Domenico, Mimmo per gli amici (anche quelli per ventidue ore su ventiquattro), il segnale di un tragico conto alla rovescia. Mi spiego meglio. Mio padre stabiliva le regole del gioco. Dovevo doppiare Mimmo. Dargli cioè un chilometro di distacco entro venti chilometri. L'anello di grigio bitume diventava allora il Circo Massimo. I nostri sguardi si cercavano ad ogni giro, gli occhi come quelli di camaleonti in canottiera e pantaloncini: nervosissimi e indipendenti per lasciare la testa indifferente e persa in direzione dell'infinito (guai dare all'avversario l'impressione di essere osservato, di contare per l'altro, qualcosa).Cercavamo riferimenti: "questo giro gli ho preso quarantametri", "me ne ha dati quaranta, non mi doppierà mai", eccetera eccetera. E giorno dopo giorno il doppiaggio, da mio padre dato per scontato, chiedeva un tributo sempre più alto. Un'emorragia di zuccheri e sudore, impastata a imprecazioni luridissime - all'indirizzo dell'amico part time -, piccole cattiverie di cui ancora oggi mi pento sinceramente. E già. Perché se per me diventava sempre più difficile aggiungere qualcosa alla mia condizione atletica, per Mimmo i margini di miglioramento erano più ampi: aveva iniziato ad allenarsi da poco e, sebbene il suo talento non fosse grandissimo, tra noi la differenza,diciamo così, prestazionale, andava pian piano riducendosi. Mimmo ogni giorno era qualche metro più bravo. Così si consumò la sua vendetta bonsai, un capolavoro di filosofia eleatica. Quel giorno mi concesse circa cinquanta metri a giro, dandomi l'illusione di essere,come sempre, doppiato nelle ultimissime tornate. Ma così non fu. Mimmo era insolitamente tranquillo, non sbuffava come una locomotiva ingolfata. La sua azione appariva innaturalmente lineare, composta, terribilmente efficace. La sua testa, solitamente inclinata nel senso della curva,stava ben dritta, a cercare il traguardo (un chilometro più in là). Io non ne avevo quasi più e attendevo che l'amico part time andasse incontro al suo quotidiano destino di vittima sacrificale, immolata sull'ara dell'innocente sadismo di mio padre. A quattrocento metri circa dall'arrivo, quando avevo Mimmo a dieci passi da me, lo vidi partire. Al triplo della mia velocità. Praticamente irraggiungibile. E non valeva niente il fatto che io stavo concludendo e che lui aveva ancora un giro da compiere. Che gli avevo smollato, comunque, novecento e passa metri. Io avevo perso. Avevo perso per mio padre. Avevo perso per il passante che vide soltanto l'accelerazione di Mimmo. Su un circuito primo e secondo non esistono; e c'è un momento,eterno e immobile, in cui è il secondo a precedere il primo. Quella meravigliosa metafora esistenziale è uno dei doni più preziosi - soltanto oggi lo comprendo - avuti da un amico.

domenica 11 febbraio 2007

Tevere pioggia e notte

un'immagine tratta dal film Lady in the water

Correre sul lungotevere di notte è come sprofondare in un mondo parallelo. Da casa mia il passaggio dalla strada trafficata al ciottolato che costeggia il fiume è senza soluzione di continuità. Non vi sono né scalini né deviazioni, la strada semplicemente scende, scende fino a dove è possibile: a pochi centimetri dall’acqua.
I rumori della città si fanno più ovattati e, a differenza del giorno, l’intensità luminosa è meno di un quarto rispetto al mondo sovrastante. Le pupille si dilatano e viene naturale rallentare per qualche centinaio di metri. Gli occhi poi si abituano alla penombra e si ritorna alla velocità iniziale.
Mi è capitato qualche giorno fa di correre lì di notte. Il cielo nonostante fosse nuvoloso emanava una luce propria e faceva da contrasto alle calde luci dei lampioni sparse ogni tanto sul percorso. Mi viene da pensare, mentre corro, come nel mio lavoro sia laborioso ricreare un’atmosfera simile: fare avvertire le tonalità fredde di un cielo notturno assieme alle calde della luce artificiale. Ripenso a film visti ultimamente giocati con queste tonalità e mi viene in mente la fotografia di Christopher Doyle in Lady in the water e la Trieste di Fabio Zamarion in La sconosciuta.
Ecco che inizia a piovere. Piove seriamente, anche dei fulmini cadono molto vicini alla città. In pochissimo tempo sono fradicio ma continuo a correre imperterrito (non avevo comunque altra scelta poiché stavo già ripercorrendo la via del ritorno).
A volte sbaglio l’appoggio del piede e mi trovo dentro una pozzanghera. Avere i piedi bagnati Ë una brutta sensazione, l’unico antidoto è appunto correre, correre senza fermarsi. Continuo a notare le calde incandescenze che rispecchiano nel Tevere e in tutto questo marasma mi sento un po’ mitico. Ripenso ad imprese storiche e mi immedesimo: Coppi che valica solitario un passo dolomitico, Bordin che vince l’Olimpiade, l’Italia campione del mondo nel 1982, Marco Pantani, Stefano Baldini, Mike Tyson, Maradona…
Dopo tutto questo pensare mi sento anche un po’ coglione perché sto andando a non meno di 4 minuti al chilometro in una normalissima seduta di corsa lenta di un qualsiasi amatore.
Il bello della corsa è che, se stai bene fisicamente, ti dà tempo per pensare a tutt’altro e anche a fantasticare su ogni cosa.
Arrivo poi a casa, mi levo le scarpe sennò è un massacro per la moquette e metto subito in lavatrice tutto quello che avevo addosso. Mi accorgo che tutti gli indumenti che ho usato hanno impregnato l’odore del Tevere.
Entro dentro la doccia e sono troppo felice dell’acqua calda che mi scorre addosso...

lunedì 5 febbraio 2007

Campionati Regionali di Corsa Campestre

Foto di gruppo

Eccomi durante la gara

Assieme a Marco Agresta (terzo assoluto e primo di categoria)

Alessandro Di Cintio (secondo assoluto)



Ieri Campionati Regionali di Corsa Campestre. Sorpresa: mente vado a prendere il pettorale scopro che la mia categoria (amatori) non è presente perché la gara è riservata esclusivamente alla categoria Master. Domanda: ma se la settimana prima si era svolta il Campionato di Corsa Campestre riservato agli Assoluti e naturalmente la nostra categoria era esclusa, se non corriamo con i Master con chi corriamo?
Senza darmi e ne ricevere una risposta, opto per gareggiare fuori gara, con un pettorale contrassegnato con una X , forse nel caso qualcuno avesse da protestare.
Si parte nel Parco D’Avalos, un parco che ha segnato la mia infanzia di corridore: qui vinsi le mie prime gare tra il1988 e il 1990 arrivando con alcuni miei coetanei che poi di strada ne hanno fatta, due nomi per tutti Danilo Di Luca e Massimo Oddo. Sempre nello stesso parco, nella categoria degli anni antecedenti al nostro, già primeggiava e si distingueva Alberico Di Cecco.
Ed è proprio Alberico Di Cecco che ritrovo, naturalmente da spettatore, alla gara. Inoltre arriva il presidente della nostra società Gianni Petrella, il direttore tecnico, nonché mio allenatore, Mario De Benedictis, e altri due atleti della Runners Adriatico: Alessandro Di Cintio e Mauro Viola, oltre alla ex azzurra Romina Rastelli.
La partenza vede subito al comando Nourredine Makhloufi e Alessandro Di Cintio, segue Mauro Battista e dopo qualche metro eccomi assieme a Marco Agresta. Mi sento bene e il ritmo non mi pare eccessivo. Noto che l’ottimo Alessandro inizia a perdere un po’ di terreno su Makhloufi ela sensazione è di recuperare preziosi metri. Dopo circa 2 chilometri cerco addirittura di staccare Agresta e cambiare ritmo. Ed ecco che nel giro di poco (un chilometro) mi sento in subbuglio lo stomaco e decido di fermarmi… Misera figura, soprattutto in una location che tanto rappresenta per me e con tante persone, per me importanti, a vedermi! Non mi rimane che vedere l’arrivo in solitaria di Makhloufi, il buon secondo posto di Alessandro Di Cintio e il terzo di Marco Agresta (primo della sua categoria).
Nonostante tutto è stata comunque una piacevole giornata, sperando per le prossime volte in risultati migliori…